Racconti di sale, polvere e cemento

Quanto impatteranno le nuove tecnologie nel futuro prossimo? E i cambiamenti climatici? Noi umani resteremo capaci di evolverci nel confronto con gli altri, superare il narcisismo e accettare i nostri limiti? Questi e molti altri sono gli interrogativi che gli “Alieni Metropolitani” hanno espresso attraverso la raccolta “Racconti di sale, polvere e cemento” edito da Les Flaneurs Edizioni – luglio 2017.

La corrente letteraria degli Alieni Metropolitani è nata all’inizio del 2011 tra Bergamo e Milano, ma ha goduto sin dai primi mesi di vita di una diffusione e di una fruizione capillare in tutta Italia grazie al portale «Racconto Postmoderno». Andrea Corona ha “seguito la Corrente” fin da principio – dapprima come lettore e infine come membro interno.

  1. Il libro è firmato Alieni Metropolitani, ma si tratta di un gruppo ufficiale con uno “stile” condiviso? Com’è nata questa collaborazione?

Un primo incontro, virtuale, con gli Alieni risale al 2011, quando li seguivo da “fan”, attraverso il portale “Racconto Postmoderno”, che ora non esiste più. A gennaio 2012, poi, c’è stata la svolta: nel corso di un’intervista radiofonica, il fondatore della Corrente, Giorgio Fabbrucci, parlò del progetto e – ricordo ancora – della sua Weltanschauung (termine filosofico-letterario che indica una particolare “dis-posizione” nei confronti del mondo). Il programma si chiamava “Anni Dieci – Scritture dal Web” e il tema della puntata era il Postmodernismo. Quella sera contattai Fabbrucci per complimentarmi e presentarmi, dicendogli che ero un lettore del suo blog; e, con mia sorpresa, lui mi rispose in un modo che non mi sarei aspettato: anche lui conosceva me, e mi propose di inviargli qualche mio scritto. Superato un periodo di rodaggio, entrai a far parte in pianta stabile della Corrente. La quale, più che uno stile condiviso, ha sicuramente una poetica condivisa, dal momento che gli Alieni Metropolitani sono accomunati da una sensibilità di fondo e da uno spirito critico nei confronti del nostro tempo. Nel 2015, comunque, ho poi preso in mano le redini della Corrente, fino al grande passo: uscire allo scoperto con eventi pubblici e antologie cartacee. Dopo tanti anni di gavetta sul web, eravamo pronti. Una curiosità, infine, è che abbiamo trovato l’editore in tempi record: 1 giorno. Il motivo? Alessio Rega, direttore editoriale di Les Flaneurs (casa editrice No Eap di Bari) è a sua volta un fan degli Alieni.

 

  1. Andrea, noi umani siamo destinati all’alienazione? Come immagini la fine dell’umanità?

“La fine dell’umanità” è il titolo provocatorio di una delle tre sezioni del volume (le altre due sono “Alienazioni” e “Leggende metropolitane”), e si riferisce non tanto a previsioni apocalittiche o a scenari post-bellici, quanto all’evaporazione di ciò che di umano vi è nel mondo. Non si tratta di una visione pessimistica in sé e per sé, ma di una sottoscrizione a quanto paventato da Erich Fromm, che elesse a maladie du siècle quella “indisponibilità schizoide all’esperienza affettiva” generatrice di ansia, disorientamento e solitudine. Ma, ciò detto, va anche aggiunto che Fromm terminava la sua “diagnosi” asserendo che: “Per chi sia alienato e non riesce a svolgere la sua funzione sociale, la cura non consiste nell’assenza della malattia (la rimozione dei sintomi), bensì nella presenza del benessere”. Ed ecco perché, conformemente a una concezione del genere, abbiamo deciso di chiudere il volume con le più luminose “Leggende metropolitane”.

 

  1. Della raccolta sei allo stesso tempo curatore e autore: quali sono le insidie nel ricoprire contemporaneamente questi ruoli?

Ben poche, in verità. Oltre ad aver curato per tanto tempo il portale degli Alieni Metropolitani – per il quale programmavo le pubblicazioni, correggevo le bozze, controllavo i manoscritti in arrivo alla casella di posta, e, al contempo, producevo contributi di mio pugno – ho accumulato numerose esperienze in tal senso anche nella vita ordinaria. Sono giunto a curare questo libro dopo averne curati tanti altri, e diretto collane editoriali di narrativa, nonché di saggistica filosofica e letteraria. Non è stato perciò insidioso scrivere il saggio introduttivo del libro, curare i racconti dei miei compagni “Alieni” e suddividere il volume in sezioni affinché il tutto risultasse anche tematicamente più coeso. Certo, il lavoro di editing non è mai semplice. “Scrivere è umano, editare è divino” ha detto scherzosamente Stephen King. Interessante è poi una definizione dello scrittore Enrico Macioci, per il quale l’editing non può equivalere a una sbrigativa passata di fard, ma neppure deve tramutarsi in una plastica facciale, in quanto deve realizzare il giusto compromesso fra i meriti dell’autore e quelli, pochi ma buoni, di chi si prende cura della sua opera. E così è avvenuto tra me e gli altri Alieni. Il curatore della raccolta sono io, è vero, ma si è comunque trattato, sotto molti aspetti, di un lavoro di gruppo.

 

  1. Quali sono le caratteristiche della vostra scrittura?

Dunque, se diventai un fan degli Alieni fu per un semplice motivo: mi sembrarono tra i pochi, di questi tempi, a non confondere la narrativa con la mera prosa. Non per niente, Pessoa faceva una distinzione abbastanza netta: “L’arte che vive del significato diretto delle parole è prosa, non narrativa” diceva. Similmente, Umberto Eco, nella Postilla a Il nome della rosa, spiegava che “un narratore non deve fornire interpretazioni all’interno della propria opera, altrimenti non ha scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni”. Ma già Italo Calvino, nel momento stesso in cui insegnava che “scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto”, sosteneva il medesimo principio, ossia che le interpretazioni vanno generate e non fornite (“Non bisogna mai esaurire un argomento al punto che al lettore non resti più nulla: non si tratta di far leggere, ma di far pensare” recitava a suo tempo il saggio Montesquieu!). Ma facciamo un esempio pratico. Poniamo il caso che si voglia raccontare di una società in cui la libertà è un pallido ricordo, la schiavitù è la norma e l’uomo è completamente soggiogato, sottomesso a uno Stato totalitario. Ebbene, cosa si deve fare? Di certo si dovrà, per prima cosa, evitare di risultare didascalici e di parlare testualmente, all’interno del racconto, di “una società in cui la libertà è un pallido ricordo, la schiavitù è la norma e l’uomo è soggiogato, eccetera eccetera” (dacché questa potrà essere, appunto, una possibile chiave di lettura da suggerire, e giammai dovrà corrispondere al racconto stesso). Se questo è il messaggio, infatti, allora non ci si potrà limitare a spiattellarlo sulla pagina così come è venuto in mente, ma si dovrà trovare una soluzione più creativa. Si dovrà, pertanto, ricorrere a un artificio; a qualcosa, per fare un esempio banale ma esplicativo, di questo tipo: “Come tutte le mattine, Tommaso si sveglia, prepara la colazione, e mette cravatta e guinzaglio”. Ecco: questo è un modo decisamente più efficace e sintetico (in letteratura si dice “simbolico”) di suggerire al lettore l’immagine di una società in cui la schiavitù è la norma. E tale è, espressa in maniera forse semplicistica ma perlomeno chiara, la principale differenza tra la tendenza diffusa (e non solo tra i principianti), e la scrittura, a mio giudizio più interessante, in quanto già ben lontana dalla mera esposizione prosastica di un’idea, degli Alieni Metropolitani. Complessivamente, caratteristiche della nostra scrittura sono, io direi: l’originalità delle idee, una certa vivacità e certo frizzo di fondo, e la capacità di unire elementi onirici, “fantastici” e visionari a un certo disagio di ambientazione urbana.

 

  1. Perché la scelta del racconto? Come attestato anche da Antonio Franchini, responsabile della narrativa per Mondadori, in Italia chi scrive racconti non gode di molta fortuna.

Altra caratteristica degli Alieni, in effetti, è la messa in codice del messaggio mediante l’incisività della narrazione breve. Il noto consulente editoriale Giulio Mozzi ha detto una volta che il movimento della trama sta al romanzo come il desiderio di immergersi in un’atmosfera sta al racconto. Questa frase mi è rimasta impressa perché una vecchia tesi di Edgar Allan Poe diceva la stessa cosa: il racconto impedisce alle faccende quotidiane di intromettersi e guastare l’atmosfera; la lettura di un romanzo, al contrario, viene necessariamente intervallata, richiede pause e interruzioni. E suggestivo è anche un giudizio espresso da uno scrittore argentino, appassionato di pugilato e amico personale di Cortàzar, per il quale, nella lotta col lettore, il romanzo vince solo sulla lunga distanza, ossia “ai punti”, mentre il racconto lo avvince immediatamente, come per effetto di un knock-out. Quanto alla sfortuna di chi scrive racconti, io non sarei così pessimista: pur provenendo dal web, e pur pubblicando con piccoli editori in tirature ridotte, gli Alieni Metropolitani hanno una storia di tutto rispetto. Prima accennavo alla partecipazione radiofonica, alla casella di posta sempre piena, e al fatto di avere tra i nostri estimatori numerosi editori e addetti ai lavori (come, ad esempio, i redattori della rivista “Rapsodia”). Ora aggiungo che in un libro del 2012 (un bellissimo saggio di Carlotta Susca su David Foster Wallace) si parla, seppur tangenzialmente, anche di noi. Infine, sono ormai diversi anni che gli Alieni Metropolitani sono accreditati alla voce “Postmodernismo” di Wikipedia come Corrente Letteraria di scrittori a pieno titolo. Questi potranno forse sembrare dei dettaglio di poco conto, ma in realtà si tratta di attestati di stima nient’affatto scontati per chi non ha un grande editore alle spalle e fa sentire la propria voce solo mediante la scrittura.

 

  1. Grazie, Andrea, per la tua disponibilità. C’è qualcosa che vuoi aggiungere?

Grazie a te, cara Melania. Sì, aggiungo solo un ringraziamento e un saluto agli Alieni Metropolitani, che sono: Giorgio Fabbrucci, Ilaria Bonfanti, Giulia Costi e Alfredo Perna.  

 

Author: MelaniaMieli

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